Gioca Giuè

Il blog di videogiuochi che non stavate aspettando altro

Intro

Ho deciso che scrivero’ un romanzo a puntate solo per gioca gioue’ a sfondo biografico su un giovane monologante alle prese con l’oltremondo videoludico, un po’ il Finnegan’s Wake dei reietti sociali ma con piu’ parole sconce e esoterismo supermariano. Pero’ voglio una rubrica tutta mia, tipo “NAMCO PER CAZZO”.

Prologo

Giu’-giu’-avanti-avanti-pugno. Se Pitagora fosse stato Ryu non avrebbe potuto definire meglio l’esistenza di chi non esiste se non in una camera piena di polvere, scatole e cartoni, fumetti obbligatoriamente giapponesi, qualche patatina acida e non avrebbe potuto ascrivere in un passato proattivo quello che mai e’ cambiato del momento essenziale, quello fermo a cavallo tra un save point e l’altro (una dilatazione diacronica che molti nuovi inesistenti non conosceranno mai cosi’ forte come ai tempi che non furono). Aspe’, questo se Ken fosse stato Zenone, assieme a tutta l’architrave degli hadouken che fanno meno male (alla faccia del cazzo occidentale grosso) e dei pugni roteanti volanti, simbolo del volo pindarico e dell’acredine di quelli che hanno provato sulla propria pelle il bruciore di una sconfitta che non s’e’ mai tramutata in vittoria, e viceversa (perche’ abbiamo sempre perso, siamo sempre stati su un podio).

Consapevole che mentre scrivo questo primo pezzo dovrei lavorare e che forse vecchi belga che non capirebbero due volte quello che scrivo non capiranno il principio per cui una persona che si definisce in una mansione dovrebbe rigettare questa e quell’altra che loro non hanno vissuto perche’ appartenenti ad uno spazio-tempo dove la vita si faceva mentre adesso che siamo tutti morti l’esistente e’ frutto di uno sforzo immane alla ricerca del nucleico entropico, la Triforza di chi E’ in una palla di sapone e materia organica rosa che saltella e vola e aspira ed espira mostri e brutture e si’, sto parlando di Kirby, scrivevo, pur sapendo che quello che dovrei fare non mi definisce affatto (ed in questo sta la rivoluzione di noi senza noi, io senza io ma con le mosse che ti fanno un culo tanto) e che quello che ho sempre fatto e’ cio’ che non va detto e non va fatto e non va descritto e non andrebbe scritto, io ne parlo perche’ e’ la mia storia, la storia di noi tutti, e’ la nostra chiave al passato (e mo’ traducite ‘sta bomba, uomo bomba).

Ma cos’e’ che voglio scrivere? Dove voglio andare a parare? Io non ho mai parato, sono sempre stato pronto ad incassare i calci oblunghi di Dalsim perche’ la vita e’ fatta di morti e crediti e malvagi con la benda che ridono della tua disfatta ma e’ sempre quel momento che decide e chiamatemi fesso, io ho sempre premuto ed alternato fasi di lucida preparazione del fiato di fuoco a quello della distruzione del joystick in preda alla furia femminea del premi-tutto-che-qualcosa-esce. Ho preso le botte, ho preso freddo la domenica mattina al porta portese irreale, quello finto sulla togliatti, simulacro della vita che doveva essere, ho preso le sole da Zed che mi rifilava i giochi del super nintendo che non funzionavano mai (ed il negozio suo dove mandavo mio padre a cambiarli era sempre chiuso perche’ Zed era il male necessario, era anzi tutto cio’ che di buono potevo trovare in una fregatura reiterata settimanalmente che ha affievolito la mia speranza negli umani e rafforzato quel legame con la macchina creatrice e distruttrice di mondi e piani evolutivi), ho cambiato e provato tutti le possibili, per allora, quando questo era ancora un mondo in ascesa (e di ascesi infantile), diavolerie – e mai termine fu piu’ adatto, ma non devo spiegarvi come lo intendo, devo? – con cui divenire alieno in prima persona, ho vissuto la morte di seimila principesse e dodicimila chiavilegami che distruggendosi uno ad una hanno prov(oc)ato N folgorazioni e sbuffi di fiato nella cassetta che doveva essere ripulita dalla polvere metasinonimo di quel di fuori che bisognava combattere a forza di chinarsi, chinarsi, due passi avanti uno alla volta ed un pugno nel petto di chi ancora oggi mi dice “ma come, giochi? Alla tua eta’? Ma metti su famiglia!”. L’ho fatto, pezzi di merda. Vivo una doppia vita, sono il fratello gemello di me stesso figlio di mia madre morta ammazzata dai dinosauri maligni impazziti per colpa di Porky risvegliato alla vita vera dall’antesignano gamba-lunga che si nasconde in quei bar dove TU vai per bere qualcosa e provarci con una sorca, io gli unici sorci che ho visto sono quelli sul tevere quando andavo ad ottaviano per vedere se avevano dei giochi nuovi e dei fumetti con cui distanziarmi ancora di piu’ e TU gambalunga non l’hai mai visto, io si’, ci ho parlato, ho visto e provato quell’antevita che tu dileggi come se fosse qualcosa di immoto ed inutile mentre te che fai?, tante cose?, elencamele. Prendi un anello alla tua fidanzata: io ne ho presi cosi’ tanti di anelli dorati, ma non sai quant’e’ facile prendere una sbandata per la giungla colpiti da un verme meccanico e perderli tutti e poi corri a riprenderli come un riccio, e che cazzo significa mi chiedi? Te lo dico io: Zed e’ ancora vivo. Vecchio, obeso, con due negri al posto di figli zii e cugini ad aiutarlo, vende ancora i miei gameboy, i miei nintendo, i miei pezzi di ricambio per cose che non ti servono, i miei cd di giochi della playstation, le mie cassette di zelda, i miei sonic, e per quanto lento possa essersi fatto (ma non capisci, e’ di cristallo, di metallo nerissimo, e’ quella destinazione obbligatoria chiamata Terra, e’ la Madre morta sempre con noi, e’ lo sciancato che suona il basso, e’ ancora il vostro nemico ma lui non ha nemici, non ha tempo) e’ sempre pronto a devastarti con un hadouken di fuoco ed insegnarti che quello che non abbiamo vissuto noi e’ tutto quello che TI manca per capire in cosa hai sbagliato, perche’ non sei, perche’ esisti.


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