Uno dei paradigmi più efficaci per giudicare un prodotto videoludico potrebbe essere il rapporto inversamente proporzionale tra il numero di comandi necessari a controllare il proprio alter-ego e la quantità di divertimento garantita dal prodotto stesso. In poche parole, che ne so, Red Steel per Wii, nonostante il coraggio e l’innovazione, è un gioco di merda perché sovraccarica il controller con una varietà di combinazioni di comandi noiosa e irritante, roba che per lanciare una granata devi premere tre tasti insieme su due periferiche diverse e al contempo fare un movimento accurato, mentre Fruit Ninja, accontentandosi delle gesture che qualunque scimmia in possesso di un iPad può intuire, riesce a far divertire un sacco la gente nel tagliare la frutta a pezzi – io ODIO tagliare la frutta, cioè fare la macedonia è un dito al culo, mi sfugge sempre il coltello, spreco un sacco di frutta lasciandola attaccata alla buccia, mi cascano i pezzi di frutta per terra perché sono scivolosi e soprattutto mi urta la sensazione di appiccicaticcio che ti resta sulle mani dopo che li manipoli.
Per questo non ho un iPad ma parlo di videogiochi per computer, ed il computer è una roba diversa: ha un mouse ed una tastiera con almeno 50 tasti, e questo implica approcci estremamente massimalisti o minimalisti. I veri progamer giocano Starcraft con tutta la tastiera, si spalmano sul tastierino numerico, ticchettano sulle lettere manco fossero dattilografi professionisti pronti a droppare zergling sulla natural mentre scrivono un curriculum, mentre al polo opposto impiegati annoiati si trastullano con i giochini in flash della peggior risma trovati digitando GIOCHI GRATIS su Google quando dopo mesi di inefficienza si trovano Facebook finalmente bloccato dal proxy aziendale e devono accontentarsi di roba tipo Incendi tra i Ghiacci.
Ci siamo cascati tutti, magari in una innocente gioventù pre-Steam, quando l’Internet non garantiva ancora abbastanza passatempi e dopo qualche ora di browsing ci dicevamo “vabbè dai, giochiamo un po’”, e zac! via di giochini in flash, quattro comandi e zero pretese, sprite rubati da qualche galleria di immagini di serie b, animazioni fatte con tre frame, puzzle tutti uguali ma pur sempre capaci, al termine di quei venti-venticinque quadri completati durante un pomeriggio afoso in attesa dell’ennesima pausa caffè, di farci sentire intelligenti e realizzati. Realizzati, felici, con il corpo ritorto in pose innaturali, la mano sinistra sotto al culo e la destra rattrappita, con l’indice, il medio e l’anulare arcuati sopra le frecce direzionali – tutto ciò di cui si ha bisogno per il 94% dei giochini in flash, a premere meccanicamente destra, sinistra, su, raramente giù, ancora più raramente la barra spaziatrice, spesso raggiunta col pollice della stessa mano causa pigrizia malsana.
La sfida è a questo punto palese: è possibile concepire un giochino da browser ancora più semplice, ancora più immediato dei soliti giochini in flash, e renderlo al contempo estremamente vario, competitivo, caratterizzato da un livello di sfida elevato e da una curva di apprendimento ben calibrata, tutto questo basandosi su una meccanica intuitiva o persino estremamente sputtanata? Esiste un giochino in cui ciò che importa veramente è la tua skill con le freccette direzionali? La regola 34 pare funzionare anche coi videogiochi, quindi sì, un gioco simile esiste e si chiama Canvas Rider: prendere il concetto di tutti i giochini BMX/Dirt Bike e sezionarlo fino a tornare agli elementi base (un omino stilizzato su una bici stilizzata nello spazio bianco del web 1.0) per poi arricchirli con lo stretto necessario – in questo caso la gravità, l’accelerazione lineare, il moto rotatorio e semplici linee nere scriptate in JAVA/HTML5. Cosa si ottiene? Un percorso di BMX minimale, punteggiato da placeholder geometrici che rendono possibili acrobazie, variazioni della fisica e dinamiche personalizzate. La prima esperienza di qualcunque giocatore di Canvas Rider è la morte in seguito a una caduta ridicola (e la facilità della morte catartica, come già discusso altrove, è un altro paradigma centrale per la valutazione di un prodotto videoludico), seguita da una rapida progressione verso la scoperta dell’equilibrio e dei limiti del nostro piccolo ciclista, verso la perfetta sintesi tra meccaniche di gioco semplici in principio ma estremamente variabili nel loro sviluppo: giocare a Canvas Rider è un viaggio esaltante alla scoperta della sottile sensibilità delle frecce direzionali e delle sublimi possibilità di controllo che la loro calcolata interazione può portare all’universo dei videogiochi. Inoltre, come si scopre tramite aggiornando la pagina random track, i percorsi da affrontare sono perlopiù infiniti, non ordinati secondo un livello di difficoltà, non relativi a nessuna storia o sequenza, e soprattutto sono uploadati dagli stessi utenti che perdono le ore su questo giochino. Al minimalismo concettuale e forzato delle meccaniche di gioco si contrappone quindi il massimalismo caratteristico della community di creativi che si ingegnano ad uploadare livelli personalizzati. E come in tutti i giochi – spesso capolavori – che lasciano ai giocatori la possibilità di intervenire sull’ambiente di gioco con un editor interno, Canvas Rider si garantisce una longevità estrema e un livello di meta-gioco pauroso: bastano dieci minuti per trovarsi catapultati in mappe incredibilmente complesse, percorsi assurdi, utilizzi creativi dei pochi elementi scriptati, decostruzioni delle dinamiche di gioco e vere e proprie schifezze.
(10) per la copertina, (0) per la musica.